Un detto popolare regala al pescatore e al panettiere il titolo del lavoro più difficile e duro¹.
Nel lago di Varese l’uomo pesca dal tempo delle palafitte o probabilmente ancora prima e non è forse un caso che il detto popolare, nel suo richiamo ai pani ed ai pesci, abbia dunque il sapore dei testi antichi. La necessità primaria (ancora una volta rientriamo nelle leggi della natura della caccia al cibo ed al proseguimento della specie: questa volta la nostra) ci ha nei millenni spinto a cacciare pesci in vario modo e a sviluppare tecniche di cattura sempre più efficaci. Ed è possibile quindi ripercorre seguendo lo sviluppo dei metodi di pesca e delle relative attrezzature, un po’ come su una macchina del tempo, la storia dell’uomo. Come per l’agricoltura, la pastorizia e l’allevamento la disponibilità di risorse alimentari era (e dovrebbe esserlo ancora …) la fonte primaria di ricchezza e un buon pescato garantiva quindi prosperità e discendenza al proprio nucleo famigliare.
Non c’è quindi da stupirsi, anzi prevale un sentimento di ammirazione, che nel 1922 un gruppo di famiglie si siano indebitate oltre le loro reali possibilità, ipotecando cioè metà del pescato per vent’anni, per acquistare dal conte Ettore Ponti il diritto esclusivo di pesca sul lago di Varese, dalle rive al largo. La neonata Cooperativa settimanalmente tratteneva metà del valore del pescato, che ogni socio diligentemente consegnava a Calcinate nella storica sede e rimborsava così il debito alla banca con una variabilità dettata dalle stagioni e dalle condizioni metereologiche che risulterebbe oggi impossibile per i moderni istituti di credito (che il progresso a volte fa regredire).
Per il lago di Varese la Cooperativa fu un vero passaggio epocale. Non solo per la professionalità che da subito i soci riversarono nell’attività stessa, inventandosela per la gran parte e introducendo metodi di pesca allora inediti e ancor oggi esclusivi del nostro lago (d’altronde che la necessità aguzzi l’ingegno è noto), ma soprattutto per la gestione degli equilibri delle varie specie di pesci presenti allora.
Sul lato dell’ambiente ai pescatori non potevano certo sfuggire le dinamiche di respiro e di ossigenazione del lago: le reti andando rigorosamente ad appoggiarsi con il lato inferiore al fondo dovevano per forza di cose (pena la perdita della giornata di lavoro e quindi del guadagno) esser calate nelle zone in cui l’ossigeno permeava tutta la colonna d’acqua. Così come gli effetti e la previsione dei venti che potevano far morire per asfissia i pesci impigliati nelle reti o scompigliarle al tal punto da dover poi dedicare intere giornate, aiutati dalle mogli e dai figli, a sbrogliarle e ripulirle di ogni pezzetto di legno o canna o pianta acquatica che ci si era impigliata, non potevano che diventare patrimonio della cultura del pescatore.
Si passò seguendo il processo di ammodernamento che segnava la vita del veloce secolo scorso, dall’utilizzo di sassolini appesi (diligentemente sagomati con una tenaglia ed annodati ad uno ad uno per appesantire la rete) ad anelli di ferro prima e ai fili piombati più avanti; dalle reti di canapa e cotone che richiedevano una manutenzione straordinaria (occorreva infatti tingerle stagionalmente con il tannino dei gusci di castagne e farle asciugare ogni giorno stese su pali messi di traverso su salici piantati apposta: il porto di Cazzago deve la sua immagine a questo) al modernissimo nylon. Venne perfezionata la pesca con il realone, spettacolare rete a sacco che coinvolgeva interi gruppi di pescatori su imbarcazioni lunghe 10 metri (i famosi rierùn). Si adottò la tecnica della remata con il piede per poter meglio calare e salpare le retine per i persici e così via passando per l’introduzione della bussola alle tecniche di spinta del barchét (barca tipica del nostro lago) con il singolo remo lungo attraverso i sentieri del canneto, ecc.
Ma è sul fronte degli equilibri delle specie presenti che avvenne quello che ancora oggi appare un miracolo. Dalla fondazione della Cooperativa in pochi anni si assistette infatti ad un aumento significativo del pescato delle specie di maggior valore (in primis il pesce persico). In pochi anni se ne quadruplicò la cattura ma soprattutto (elemento di indiscutibile perfezione della gestione del prelievo e della capacità di ottimizzazione delle risorse) il quantitativo pescato rimase pressoché invariato per quasi un cinquantennio.
Capacità produttiva del lago – Evoluzione
Ne sono testimonianza i registri di pesca rigorosamente redatti fin dall’inizio delle attività. Vennero usati per la causa con la quale la Cooperativa sfidò (e vinse) le titaniche aziende di allora e le amministrazioni pubbliche che dalla fine degli anni ’60 senza alcuna lungimiranza compromisero tutti gli equilibri del lago. Fu la prima causa di natura ambientale intentata in Italia e anche di questo occorre dare merito alla Cooperativa e ai suoi pescatori che resistettero per trent’anni al fuoco incrociato della burocrazia dei tribunali e degli scarichi fognari.
Vennero introdotte in modo sistematico le anguille, facendo arrivare da Viareggio, da Mestre e più tardi dalla Spagna, migliaia di ceche del peso di pochi grammi (che dal loro viaggio dal mare dei Sargassi non potevano più arrivare ai nostri laghi per il susseguirsi di chiuse e dighe dei fiumi) per pescarne poi in gran quantità nel momento della ripartenza, diversi anni dopo, sulla diga del fiume Bardello. Del prodigio compiuto, che probabilmente nemmeno una moderna azienda di allevamento ittico potrebbe replicare su così grande scala, senza l’introduzione di forzanti (mangimi, antibatterici, antibiotici ecc) e un degno schieramento di mezzi (forza lavoro, imbarcazioni, reti, vasche, ecc) non resta tuttavia solo un ricordo.In questi anni la Cooperativa, seppur decimata dei sui pescatori, ha mantenuto il ruolo di difesa dell’ambiente (inteso come sistema nella sua totalità) che solo chi lavora ogni giorno dell’anno sul lago, traendone il proprio sostentamento presente e futuro, può fare.
Alla Cooperativa, ed in particolare a mio padre e mio nonno, agli ultimi professionisti e a chi non c’è più va quindi il mio ringraziamento e questi primi dieci racconti. Tanto c’è ancora da approfondire e la speranza è quella di poterlo fare, nei prossimi mesi anticipando solo di poco le azioni che di certo non mancheranno per la rinascita della Cooperativa stessa e del Lago di Varese.
Ai pescatori tutti, quelli che l’importante è stare in mezzo alla natura, quelli che vedono solo la misura di un pesce, quelli che pescano con una canna di bamboo ed una lenza improvvisata, quelli che invece sanno tutto e hanno sempre l’attrezzatura necessaria, quelli che mai torcerebbero una pinna ad una alborella (ad avercene), quelli che pescano solo per evadere dalla vita di tutti i giorni e quelli a cui invece piace solo guardare… a tutti loro ed a voi che mi avete seguito, va il mio grazie per avermi letto.
Paolo Giorgetti
1 – “Prestinaio in estate e pescatore d’inverno sono mestieri da inferno”