Penso di esprimere l’immenso infinito cordoglio della Società Pescatori Professionali del lago di Varese, degli ultimi tre pescatori rimasti, per la disgrazia capitata a Daniele e alla sua famiglia, per una morte così imprevedibile e immatura. Se potessi per un istante ritornare in vita Daniele, gli direi com’è grande la mia tristezza e lo rimproverei con consigli retroattivi irragionevoli: non dovevi quel giorno infausto uscire sul lago, dovevi stare più attento alle premonizioni che popolano talvolta i sogni, o si affacciano come sensazioni inspiegabili alla vigilia di avvenimenti irrevocabili; sarei commosso e preoccupato come sono le mamme e ti tratterei per un braccio perché tu non scendessi al lago.

Siamo rimasti in pochi, tutti anziani e già vecchi. La scomparsa di Daniele priverà la Società di un altro membro, il più importante perché ancora giovane, e indebolirà la difesa di un modo di concepire il lago – un luogo predisposto dalla natura e dalla storia alle attività umane e alla poesia. Ora, già lontani i tempi dell’indifferenza all’inquinamento selvaggio, la pesca professionale (e di riflesso anche quella sportiva) è sotto il tiro del fuoco amico, se si può dire, degli amici cosidetti e varii: sono quelli che, per calcolo o per inconsapevolezza, fantasticano del risanamento delle sue acque con idee e progetti che campano con grande fervore nella loro testa. II linguaggio stesso che adoperano è offensivo della sensibilità dei vecchi pescatori e parlano di lago malato, dei dottori chiamati per un consulto, e si aggiunga pure le donne che piangono e pregano al suo capezzale.

Si scriva che il fenomeno della stratificazione è il sintomo più veritiero della stato fisico di un lago eutrofico. Si scriva che il lago lasciato al suo destino si salverebbe da solo (la sua intera massa si trasferisce al lago Maggiore nel tempo di un anno e dieci mesi); e basterebbe non nutrire la sua eutrofia con i ricorrenti versamenti degli scolmatori delle fogne raccolte nel famoso collettore. Si scriva che la pesca proessionale, in un ambiente fortemente umanizzato come il nostro, è il solo regolatore dell’equilibrio delle specie ittiche del lago. Si scriva che non è bene lasciare interamente questo compito ai cormorani, che del resto sono delle bestie rispettabilissime e perfettamente attrezzate alla comune sopravvivenza. Si scriva che un campo lasciato alle forze libere della natura, si riempirebbe di roveti e sterpi. D’accordo, il fascino del selvaggio. Certo, dov’è possibile. Ma non esiste una natura senza l’uomo, dove l’uomo risiede e la ordina secondo preistoria. Che logica c’è a pensare che la piccola insignificante pesca del lago sia il male da abolire? Lasciando che tutte le altre attività enormemente più grandi eternino il loro impatto alle volte malefico ? Perché allora non lasciare che le buche delle strade prendano il sopravvento, e tornare a camminare scalzi sui sentieri di campagna?

Caro Daniele non so dirti il mio dolore e la mia tristezza per la tua prematura scomparsa. Se mi puoi ancora in qualche modo sentire, prega che il fuoco amico non si accanisca di piùù su quel poco che è rimasto della Società dei Pescatori. Ti prometto che ci difenderemo, non per un mero intendo d’interesse di guadagni, che come sai bastano a malapena alla sussistenza, ma per il puntiglio sacrosanto di gente semplice, e quella sÏ veramente esperta, di lago.

Nesto

 

Foto: Filippo Fidanza