Breve storia della Cooperativa Pescatori
La Società Anonima Mutua Cooperativa Pescatori del Lago di Varese nasce nel febbraio del 1922, quando viene perfezionato l’atto di acquisto del diritto esclusivo di pesca dal conte Ettore Ponti. Un primo tentativo di gestire la pesca sul lago in realtà c’era già stato nel 1908 con la costituzione di una prima Cooperativa, cui aderirono ben 34 soci. Tentativo che non ebbe buon fine a causa delle difficoltà di gestione e dei costi di attrezzature, delle barche e di affitto del diritto di pesca.
Nel 1922 la nuova Cooperativa prese le sembianze di una vera e propria impresa grazia anche all’Avv. Giulio Tirotti “una figura vagamente antropomorfa, totalmente sgangherata sulla spina dorsale, con i piedi che divaricavano mentre laboriosamente deambulava”. A lui va il merito di aver creato il primo statuto. In esso si stabiliva che la cifra d’acquisto dei diritti doveva essere suddivisa in non più di venti quote da 10 azioni l’uno e che ogni socio che volesse aderire dovesse impegnarsi per una cifra di 25mila lire, allora una vera e propria fortuna, e prevedeva inoltre che un padre pescatore potesse passare al primogenito metà di quella stessa quota in moda da abilitarlo alla pesca professionale. Nacque così per la prima volta la figura dell’allievo, che dai 14 anni iniziava il suo percorso di formazione per diventare poi socio effettivo a 17.
Tre erano i gruppi di pescatori che formavano questa nascente Società: quello di Calcinate, quello di di Bodio e quello di Cazzago Brabbia. La sede fu però fissata a Calcinate dove si trovava una costruzione dei Ponti, abbastanza grande da permettere le riunioni dei soci e la compravendita del pescato. A Cazzago rimasero le ghiacciaie, che vennero però lentamente abbandonate per un più moderno impianto di produzione del ghiaccio, e la casetta al lago (attuale sede) dove si procedeva alla tintura delle reti.
Ma la Cooperativa non era solo quote da versare e diritti da acquisire, sullo sfondo vi erano le vite dei pescatori, le tecniche e le conoscenze tramandate e migliorate durante anni di duro lavoro, i successi e i fallimenti. La pesca infatti si svolgeva in parte singolarmente, e in questo ogni pescatore era ben attento a custodire i propri segreti (un buon posto, una pescata inaspettata, un movimento di pesci osservato e una tecnica acquisita dopo innumerevoli tentativi, come ad esempio la remata con i piedi per aver libere le mani di gestire le delicate retine dei persici), ma anche di gruppo con la pesca con il realone: una tecnica di pesca di gruppo con grandi reti trascinate da due barconi, che coinvolgeva circa una ventina di pescatori.
Fondamentale conoscenza che ogni pescatore doveva imparare con estrema precisione, pena l’insuccesso di una giornata di fatiche, era la linea del fondo buono, come veniva chiamata, ossia la linea di stratificazione delle acque del lago. Una linea che a seconda del periodo, e anche della pressione atmosferica, cambiava la sua altezza all’interno del lago e che segnava la divisione tra la parte ossigenata e quella senza ossigeno, sbagliarla anche di poco avrebbe significato una giornata sprecata.
La cooperativa ed i pescatori vissero così, imparando dai propri errori e imparando a gestire la produzione del pescato per quasi un cinquantennio.
Un lungo periodo in cui si instaurò un equilibrio fra i pesci, l’ambiente e i pescatori che essi stessi ritenevano immutabile, come le leggi della natura e di Dio.
Come è andata poi lo sappiamo tutti. Dapprincipio furono le fioriture algali che ricoprivano la superficie del lago di una coltre maleodorante, poi le morie.
“Cosa stava succedendo al lago? Si era così deteriorata l’acqua che dava il senso della pulizia, che a volte si beveva? Ah già, le fognature appena costruite nei paesini rivieraschi e potenziate quelle dei centri più grandi come Varese, dovevano essere la causa. Ci dissero che il fosforo, riversato a fiumi con il resto dei liquami, era il diretto responsabile.”
Ne seguì anche una causa, una lunga causa (il realtà la prima causa di natura ambientale in Italia) che portò la Cooperativa a scontrarsi con uno stile di vita che stava inesorabilmente mutando. E arrivò la condanna, per gli amministratori di allora e per le aziende che avevano riversato nel lago anni di scarichi, e un risarcimento che di certo non poteva ripagare i trent’anni di fatiche – così tanto durò il procedimento – ne le vite spese a tutela del lago e dell’ambiente.