Una mia vecchia zia (vecchia? A me pareva, ma di certo non era ancora cinquantenne) mi chiamò con un gesto perentorio e allo stesso tempo promettente chissà quali meraviglie. Su un grande piatto ovale dagli orli gialli stava la testa maestosa, ancora altera di un bel luccio di discrete dimensioni.  L’avevano cucinato lessato a casa dei miei nonni venendo meno alla solita usanza di cucinare pesci piccoli fritti, in un’enorme padella tutta nera delle incrostazioni, con l’olio di colza che non veniva mai sostituito, ma solo ogni volta se ne aggiungeva dell’altro secondo la necessità. I pesci s’indoravano nella schiuma gialla come il fiore della colza.  Quasi per un rituale del clan un giorno alla settimana tutti i quattro figli dei miei nonni, con le loro famiglie, tornavano a riunirsi nella grande cucina dove erano cresciuti.  Li aspettava un favoloso pasto a base di pesci fritti e polenta, e poi latte e formaggella.  Impressionante le montagnole delle resche di gobbini  persici e trollini che si accumulavano sui piatti, se i resti non venivano gettati direttamente ai gatti sotto il tavolo, anche loro parte della famiglia.

Ma questa volta, forse perchè si era di quaresima, si era cucinato il luccio lessato, che sembrava più un mangiare  da signori schizzinosi, del resto ampiamente integrato con altri tipi di formaggi stagionati e marmitte di fagioli lessi conditi con cipolla olio e aceto.

Mia zia non aveva voluto sposarsi a dispetto di parecchi pretendenti che non le erano mancati. Era molto soddisfatta di sè e della sia vita, e sono sicuro che in lei fosse assente l’istinto comune nelle giovani donne di dare continuità alla specie.  Era dedita a molte attività, infermiera del paese all’occasione, camiciaia, contadina; ma suppongo che gran parte dei suoi interessi le venisse dalla sua innata disposizione a ricordare i fatterelli del paese, episodi  salienti o drammatici che l’avevano colpita, frasi particolarmente significative a illustrare una qualsiasi situazione, i caratteri e i destini delle persone; oltre a questo ricordava con puntiglio ogni storia o leggenda della tradizione. Penso che, spontaneamente e senza l’idea di trarne qualche beneficio o riconoscimento, ci godesse a tenere una specie di archivio del paese, dentro la su testa.  Quasi tutto è andato perduto- ed è forse l’unico rimpianto che mi conosco della mia vita. Ho lasciato scorrere il bel ruscello dei suoi racconti di acqua limpida che conteneva pagliuzze d’oro, senza raccoglierne neppure un secchiello, a parte qualche pozza che è stata trattenuta casualmente nei recessi della memoria.

Bene, allora mia zia mi spiegò subito che  la testa del luccio contiene tutta intera, senza mancare di un solo elemento, la passione di Nostro Signore.  E cominciando a spolparla, a smontare la testa del luccio come fosse un complicato giocattolo in tutte le sue parti, per prima cosa trovò due piccole croci d’osso perfettamente uguali.

“Su queste erano stati sospesi i due ladroni” disse, e aggiunse: “Forse c’erano ancora i loro corpi nella testa del luccio, ma capirai che cuocendo a lungo, come si deve fare con il luccio, la parte carnosa  si è disciolta”.

“Ma perchè la carne si è disciolta?”  chiesi con l’ingenuità dei miei cinque anni perchè mi sarebbe piaciuto vedere i due ladroni in carne e ossa.

Rispose per lei mia nonna. “Perchè tutte le cose, tutte le creature diventeranno polvere. Ma questo non deve dispiacerti, perchè ciò che veramente conta è che uno dei ladroni è asceso al cielo, mentre l’altro andò dritto all’inferno”

Mio nonno aveva il dono del costante buonumore. “Sentite” disse “non c’è dubbio che nel luccio ci sta tutta la passione di Cristo, ma il luccio bollito è buono al più per i convalescenti”.

“Difatti” rispose mia nonna” il brodo, se lo si beve con convinzione, fa guarire i malati anemici e anche dall’itterizia”.

“Il luccio intero però” precisò mio nonno, “ma dev’essere un bel luccio non meno di due meglio tre chili”.

“Che c’entra la grandezza?” protestò la nonna: “Alcuni cucinano solo la carne del luccio e gettano la testa. Che sciocchi! Non sanno che proprio lì sta il potere di far sta bene e anche di guarire le malattie. Come ha confermato il dottor…” e fece il nome del medico condotto, un tipo molto stimato nella sua arte ma anche un poco stravagante.

“Ecco la riprova che nella testa del luccio sta la passione di Cristo” mi disse mi zia. “E’ per questo che il brodo è miracoloso”.

Intanto andava spolpando e smembrando accuratamente la testa del luccio. Era composta di una quantità incredibile di pezzi separati, a dispetto che  a prima vesta la si sarebbe detta un oggetto intero e monolitico. Fece un elenco di tutti i pezzi e li dispose ordinati sul grande piatto ovale, e cominciò la spiegazione. Le due croci dei due ladroni come ho già detto.  Ecco qui i chiodi che servirono ai carnefici per trafiggere le mani e i piedi  del Signore.  Ma i soldati romani presidiavano la sacrilega cerimonia data in pasto ai fanatici del popolo ebreo.  Sorvegliavano che la manifestazione non degenerasse,  con il solito cinismo di gente che si sente superiore e che di questi crudeli riti tribali ne ha visti a sufficienza. Erano calmi e non di umore bellicoso, ma pure erano armati fino ai denti. Non si può mai sapere: questa era la loro usuale filosofia di scettici miscredenti. Ecco dunque che mia zia mi mostrò le armi. C’erano i pugnali, di varia forma e misura e anche gli scudi; una lancia lunghissima e le spade; anche gli elmi a cercare meglio infine si trovarono.  Un momento impressionante fu vedere dal vivo la corona di spine messa in capo a Nostro Signore.  La corona aveva spine piccolissime che però,  osservò mia zia, dovevano procurare non poco dolore nello sfregamento mentre il Divin Salvatore saliva il Calvario. Ma ecco ancora la cosa più terrificante tra tutti gli altri elementi, due robuste lamelle speculari irte di denti acuminati,  di sicuro erano un’aggiunta di tortura a tutte le altre pene. Al riguardo il vangelo non era chiaro ma certo doveva trattarsi di una svista o dimenticanza di chi aveva tramandato le Sacre scritture: la riproduzione concreta  nella testa del luccio non poteva ingannare, era lì da vedere. L’intenzione era evidente: quella di infliggere un supplemento di pena con quest’altro strumento d’invenzione diabolica  al Figlio di Dio.

Più avanti negli anni ebbi occasione, per pura curiosità e per la suggestione  del ricordo di quella magistrale lezione di anatomia ricevuta nell’infanzia, di smembrare a mia volta svariate teste di luccio, e ogni volta la varietà e la complessità degli elementi che le costituivano mi hanno emozionato. Va detto che la testa del luccio, a smontarla, risulta un meccanismo complicato ben più che negli animali terrestri, e anche della maggior parte dei pesci. Gli elementi sono fatti di osso biancheggiante e resistente; ma altre parti, e certo quelle che dovevano servire a fare  di collegamento perchè ne sortisse uno strumento mobile e unitario per le varie funzioni, principalmente per la caccia, per la quale dovevano dar forma alla assoluta perfezione di un  attrezzo mai visto in natura, queste parti sono cartilaginose.

La mia emozione aumentava mentre scoprivo da dove provenivano quei due particolarì strumenti di tortura. In effetti neppure la mandibola del luccio è un elemento compatto e indivisibile, e le due lamelle irte di denti aguzzi e robusti, tali che feriscono seriamente solo a sfiorarli con la mano, sono semplicemente la continuazione di quelli che nei pesci comuni sono gli opercoli; proseguono lungo la bocca del luccio sui due lati dotandosi nel frattempo di quei formidabili agganci sulla preda che viene catturata.  La “corona di spine” sta invece sulla parte superiore della mascella e serve a meglio trattenere in una presa mortale la preda, stretta tra queste due implacabili ganasce. Naturalmente la testa del luccio, così affusolata, ha pure una funzione aerodinamica e fatta per consentire la respirazione oltre che dare alloggio ai sensi della vista e dell’udito.

Ora, tornando per un attimo alla mia cara zia, due problemi per me rimanevano irrisolti. Sarà che allora mi era sfuggito il particolare, adesso nelle due lamelle mandibolari irte di punte acuminate, così per caso, avevo scoperto un’ulteriore meraviglia che mia zia doveva aver sottovalutato; in ciascuna  lamella è inserito una larga punta di lancia, dentro  una specie di  guaina che la protegge e che si estrae facilmente alla minima pressione: ovviamente doveva servire nel luccio vivo al movimento più funzionale della mandibola; ma che c’entrava con la passione del Signore? Un’arma occultata di riserva? Un espediente di quei sacrileghi giudei nella prospettiva di una eventuale sommossa? Non si saprà mai. Invece riguardo al pezzo più importante della Passione, la grande croce su cui venne appeso il Messia, qualche incertezza era trapelata nelle parole di mia zia.  Infatti se ne trovò solo una sufficientemente grande ma fatta di cartilagine, più fragile e pieghevole rispetto alle croci di osso dei due ladroni. Il motivo preciso le sfuggiva.  Ma mia nonna le venne in aiuto.  Disse che noi quaggiù, immersi nell’oscurità del mondo, non possiamo mai sapere tutto, ma che certamente appena morti e arrivati nella luce degli angeli e dei santi, avremmo subito risolto anche questo enigma.

Ma la testa smembrata del luccio in me suscitava altri interrogativi, il fervore religioso di quelle pie donne non mi aveva contagiato più di tanto.  La natura doveva  aver esaurito tutta la sua inventiva per costruire, pezzo per pezzo, una tale macchina da guerra.  Con gli altri pesci in genere non è stata così prodiga, e per gli erbivori e i predatori di piccoli organismi potevo anche capire. Ma nemmeno per altri gagliardi predatori quali ad esempio trote, persici-trota e anguille si era adoperata tanto. Alla fine fui quasi sicuro di aver capito: ogni singola specie di pesci coltiva (o sogna) un proprio esclusivo progetto di esistere, e la natura si impegna ad esaudirli tutti non facendo alcuna differenza tra il progetto più complicato e il più semplice. Il luccio, all’origine, aveva sognato il modello più sofisticato e funzionale che esista tra i pesci sempre tra loro in guerra. E la natura non aveva fatto che assecondarlo in ogni sua minima parte.  Come dire che almeno in questo il precetto di Marx di dare a ciascuno secondo le sue necessità per esistere a modo suo si realizzava in pieno, contro il parere di Darwin che avrebbe invece privilegiato la forza. Se no nel lago esisterebbero solo lucci.

Quella prima lezione della mia infanzia proseguì con più pacatezza. Le donne erano d’accordo che il luccio andava bollito a fuoco lento per almeno un’ora. Poi, spinato e condito con aglio sminuzzato e prezzemolo, sale e pepe e con olio di oliva. Questi ultimi ingredienti erano i soli non di nostra produzione.

Ernesto Giorgetti