Chi di voi ha la passione dell’acquario sa per certo che, data la capacità di ossigenazione (e di nutrimento), esiste una relazione fra il quantitativo di pesci che si possono far vivere in cattività e la massa d’acqua a disposizione. Anche ai meno esperti vien facile intuire che non è possibile riempire a piacimento un acquario a meno di forzare pesantemente il sistema con ossigenazioni, filtraggi antibatterici, mangimi e perché no una buona dose di antibiotici a contrastare le malattie.
Un lago funziona allo stesso modo e a una data massa di acqua corrisponde un quantitativo fisso di pesci, in peso però non in numero.Da qui la domanda: quanto pesce c’è nel lago e quanto ce n’era prima (dell’inquinamento)?
La risposta, semplice ai tempi in cui la Cooperativa funzionando a regime, giornalmente registrava le catture, diventa oggi un po’ più elaborata ma comunque molto convincente nella sua stima.Il lago di Varese, come ogni bacino d’acqua sufficientemente nutrito di sostanze organiche, “produce” 100 quintali di pesce per Km2. 1.500 quintali in totale, non male vero? I registri di pesca della Cooperativa dal 1922 agli anni ’80 parlano davvero chiaro e i dati di letteratura lo confermano.
La regola del 100 quintali per chilometro quadrato.
Non prelevare pesci significa portare ad un invecchiamento della specie e ad un aumento della dimensione media del pesce.
E oggi? Beh la colonia di cormorani ci dice già molto.
Ognuno di questi abili predatori del cielo riesce a mangiare 4-5 etti di pesce al giorno. Considerando che si sono contate oltre 1.000 presenze si arriva già a circa 1.000 quintali che anno dopo anno il lago rimpiazza. A questi vanno aggiunti i quantitativi prelevati dagli altri uccelli (svassi in primis) che possiamo stimare in un altro centinaio di quintali. Il resto, da valutazioni informali del pescato di questi anni, è dato dai pesci di più grossa taglia (non mangiabili dagli uccelli) divisi secondo le specie.
Come ogni contadino ben sa, indipendentemente dal fatto che si sta parlando di patate o di insalata, di cetrioli o di carote e pomodori, a tot superficie messa a coltivo (e permettetemi, debitamente concimata) corrisponde un dato raccolto. Questa regola vale anche se il campo è lasciato incolto. Come i più vecchi ricorderanno, che ormai nessuno più ha le bestie a casa, un campo lasciato a prato può produrre annualmente un quantitativo ben definito di fieno secondo la regola di 9-10 tonnellate per ettaro.
Se il paragone tiene allora abbiamo 1.500 di quintali di pesci che presenti costantemente nel lago si rinnovano (come l’erba nel campo) non appena viene lasciato libero il pur minimo spazio. In primavera migliaia di milioni di uova si schiudono e premono per diventare adulti, mentre attorno la lotta per la vita di altre specie (pesci dall’interno del sistema, uccelli e uomini dall’esterno) gli crea spazio. Ben 1.500 quintali che la cooperativa aveva imparato a gestire in modo esemplare (ne parleremo poi) e che oggi invece vengono in qualche modo “sprecati” per mantenere, bontà loro, la colonia dei bellissimi cormorani. Tanti erano infatti i quintali presenti prima dell’inquinamento e tanti (forse anche qualche cosa in più per via del maggior carico eutrofico) sono quelli che oggi troviamo nel lago. Ovviamente le proporzioni e gli equilibri (o forse meglio dire gli squilibri viste le oscillazioni a cui assistiamo anno dopo anno) fra le specie sono cambiate come è naturale che sia viste le mutate condizioni di tutto il resto.
In tutto questo giocano poi un ruolo fondamentale le dinamiche fra le specie presenti nel lago: in particolare gli aspetti legati alle dimensioni dei pesci secondo quella che viene definita dagli esperti la curva di crescita. L’aumento della taglia di un pesce, oltre una certa soglia, ha infatti una influenza diretta con l’evoluzione e la presenza della propria specie nel lago. Una carpa di 15 kg occupa infatti lo spazio di 15 carpe da 1 kg (o 150 da un etto) ma depone nel complesso da 6 a 30 volte meno uova compromettendo negli anni la crescita e la sopravvivenza della specie stessa e soprattutto lasciando spazio ad altri. Una scardola da uno o due kg, come oggi capita sempre più spesso di pescare, allo stesso modo ruba lo spazio a sue consimili più piccole provocando lo stesso danno riproduttivo. E in questo vengono così avvantaggiate altre specie secondo le dinamiche di esplosione demografica (per gli esperti secondo una curva di crescita “ad esse”) che vedono i competitori rimaner in qualche modo latenti per molti anni ed approfittare degli spazi lasciati liberi per crescere in brevissimo tempo ed in maniera esponenziale fino a raggiunger una posizione di predominanza. Da qui solo un fattore esterno come un’improvvisa epidemia o il cambiamento delle condizioni delle acque può riaprire la partita per le altre specie.
Curva di crescita.
La lotta per accaparrarsi il cibo è il motore dei cambiamenti e gli equilibri variano di anno in anno da quando la cooperativa pescatori ha diminuito il controllo delle specie.
Ecco quindi spiegata l’impossibilità di un ripopolamento efficace senza un adeguato, sistematico e preventivo sfoltimento delle specie attualmente diffuse, dei pesci di grossa taglia e della colonia dei super predatori del cielo.
Che il siluro non comprometta (in questo momento) la sopravvivenza delle specie di altri predatori lo dimostrano i numeri di lucci e luccioperca presenti negli ultimi anni. La presenza di cibo in abbondanza per tutti è alla base di questo.
Molto diverso sarebbe il discorso all’attuarsi di una politica di gestione complessiva del lago. Azzerare l’ingresso di scarichi, azione prima di una svolta definitiva per l’ambiente, ha infatti il significato di ridurre finalmente il carico eutrofico e di conseguenza di modificare la catena alimentare tutta.In questa sperata ipotesi occorre quindi aver chiare le dinamiche di riassetto delle specie e operare di conseguenza in maniera parallela con una pesca intelligente ed una caccia mirata per raggiunger lo scopo desiderato: il lago com’era negli anni ’50.
Un altro modo di intendere la catena alimentare.